03 mai 2010

Fellini


Ultimamente ho avuto modo di conoscere (non posso certo dire "approfondire le conoscenze" perché erano quasi inesistenti) un po' meglio l'opera di uno dei maggiori registi italiani, Federico Fellini.
Normalmente non avrei dovuto fare eccezione a quel fenomeno per cui gli stranieri ne sanno di più sul nostro paese e la nostra cultura e allo stesso tempo noi ne sappiamo di più sui loro; ma con le arti visive, teatrali e cinematografiche invece non è così: di kabuki non so virtualmente nulla, non ho mai guardato un film di Ozu o Kurosawa per intero e non si può dire che io brilli per conoscenze su correnti artistiche e pittori. Ma allo stesso tempo, dopo aver visto "Le notti di Cabiria", ho iniziato ad alimentare seri dubbi sul fatto che un giapponese possa apprezzare appieno un film di Fellini...
Intendiamoci: lungi da me l'intenzione di alimentare sentimenti di superiorità - in un verso o nell'altro- secondo cui le culture sono inaccessibili ai fruitori non originari dal contesto che la cultura esemplifica/racconta/etc etc. Anzi! Le mie perplessità sono soltanto le seguenti. A fronte di una marea di giapponesi che dichiarano amare l'Italia a quanto pare anche per prodotti della sua cultura quali il canto lirico (lì sì che si applica la regola di cui dicevo all'inizio) e i film di Fellini non posso che meravigliarmi. Ho visto "Le notti di Cabiria", come accennavo, che è in perfetto stile e spirito "romanesco". Immagino che la versione giapponese sia sottotitolata. Se è così, per la velocità dei dialoghi ci starà solo metà di quel che viene detto; e se anche è stato doppiato, come si fa a tradurre rendendone lo spirito?
Ma nell'amare qualcosa senza conoscerne o capirne il vero spirito non c'è - in fondo- nulla di male in sé.
Io sono una totale neofita in fatto di registi italiani del dopoguerra. Domenica sono andata a una visita guidata di una mostra del MAMbo su Fellini per completare le mie lacune. Ho apprezzato moltissimo; l'allestimento era equilibrato, il materiale abbondante e stimolante; e ho imparato parecchie cose.

"La dolce vita", nonostante evochi sin dal titolo un modus vivendi che dovrebbe essermi noto - quello italiano di cui mi vanto di essere fedele conoscitrice- non mi è piaciuto la prima volta che lo vidi, un paio di estati fa. Sarà stato che si moriva dal caldo, sarà stato che eravamo scomodi perchè non c'era divani abbastanza per tutti, sarà che era troppo lungo il film...mi dicevo. Invece ho scoperto che conoscere il contesto mi avrebbe aiutata ad apprezzare questo capolavoro: sapere che ci sono riferimenti a fatti realmente accaduti* avrebbe creato quel legame che lega lo spettatore all'opera con qualcosa di personale e che fa della visione un'esperienza.

Queste che ho appena maldestramente cercato di liberare dalla matassa di pensieri contorti nel mio cervello, sono le riflessioni che mi ha suscitato Fellini con la sua opera in un film e una mostra. Pensate voi a guardare tutti i suoi film...

* Ad esempio il ritrovamento di un pesce gigante sulla spiaggia.
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Tra me, te, e Bologna.

MAMbo, una domenica piovosa, per me di dura consapevolezza che si fa strada, per te chissà - dopo anni ancora non riesco a discernere dove iniziano le tue preoccupazioni e dove lasciano lo spazio ad una voluta ed affettuosa serenità che cerchi di trasmettermi (ma io son cocciuta nella mia risolutezza).
Alle mostre non ci attirano le stesse cose e nonostante la guida illustri gli stessi noi ci spostiamo verso oggetti diversi. Sei così alto che è difficile non vederti; tu invece mi cerchi. Sono dietro di te e vedo che ti volti, prima a destra, poi a sinistra, con lo sguardo stupito, che ti stai chiedendo dov'è fefi? e poi ti volti completamente, mi hai trovata, io ti sorrido pazza dalla gioia ma discreta e tu mi lanci un mezzo sguardo di sollievo e un mezzo di rimprovero.
Io vivo di questi sguardi.

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