11 novembre 2009

Le domeniche mattina


In questo momento vorrei essere ispirata per la tesi tanto quanto lo sono per scrivere il blog...30 pagine sono poche ma mi sembrano infinite, mentre se dovessi parlare di me e della mia esperienza dell'anno scorso non basterebbero neanche per un'introduzione.
Ad avermi ispirata stavolta è l'inizio di un racconto di Hasegawa Junko che si intitola "L'uovo infecondo". L'ho letto perchè questo week end le conferenze riprendono e prevedono, appunto, una conferenza su questo racconto con la presenza della scrittrice. Spero tra l'altro che sia tutto tanto stimolante quanto l'ultima volta...!
Inizia cosi':

Il cielo sta sospeso sonnecchiando tra la notte e il giorno, sfumato d'indaco e di lillà. I raggi arancio del sole mattutino fanno capolino tra le nubi, trafiggendomi le pupille come a biasimarmi per esser stata fuori fino all'alba. Sembra quasi un film psichedelico.
Musica a tutto volume mi rimbomba distorta nella testa, rimbalzando da una parete all'altra del mio cranio deserto. Luci e ombre serpeggiano tremolanti dietro le palpebre chiuse, dandomi la sensazione di essere ancora in discoteca, stordita da un tumulto di voci stridule e stucchevoli. E' come se i frammenti di questa notte fossero stati calpestati da stivali appuntiti e da sandali luccicanti dai tacchi a spillo e fossero schizzati in ogni dove, appiccicandosi alla mia faccia simili a sporco che non vuole venir via. [...] Alla chiusura del locale, un po' brille e
con passo malfermo, ci siamo rintanate a Yoshinoya in attesa che i treni riprendessero il servizio; le luci al neon li' dentro erano cosi' forti che sembravano fatte apposta per dissuadere i clienti dal trattenersi troppo a lungo. Abbiamo preso posto al bancone. Io ho ordinato gyusake e misoshiru, mentre il cameriere dal volto alienato e i denti sporgenti tentava di sbirciarmi nella scollatura. Non so se fosse per via del freddo o di chissà cosa, ma mi tremavano le mani, al punto che non sono riuscita a staccare per bene le bacchette l'una dall'altra.[...] Raggiungiamo la stazione di Nakameguro con il primo treno della linea Hibiya. [...] Da li' a piedi arrivo a casa: finalmente, non vedevo l'ora!E' giorno, ormai, e il cielo si è già ravvolto nel suo manto sbiadito. I corvi si radunano gracchiando ai bordi della strada simili a bande di teppisti, pronti a dare l'assalto ai rifiuti organicii prima che il camion della nettezza urbana venga a ritirarli. [...] Il tichettio dei miei tacchi alti riecheggia per le scale mentre, con un sacchetto di plastica di Family Mart contenente un succo di mela in tetrapak, raggiungo a fatica il mio appartamento.
Tratto da "No geisha" Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, pp.161-163, traduzione di Gianluca Coci, grassetto mio.

A voi, questo brano, cosa dice?
Insomma, vi tocca, oppure no?
Ora il punto è che capisco che questo possa piacere ai giovani giapponesi di oggi. Perchè parla di loro. E' un ritratto perfetto e profondo di loro, di quello che hanno attorno, dei loro punti di riferimento...che, forse, non hanno.
Si', d'un tratto capisco come una scrittrice possa avere successo con un racconto come questo (leggetelo tutto!), in Giappone...se non fossi stata anche io a volte sotto il cielo di Shibuya o Shinjuku la domenica mattina alle 5 all'uscita dalla discoteca, forse (io personalmente) non avrei capito.

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