20 février 2010

Visita all'ESIT (Ecole Supérieure Interprètes et Traducteurs).


Una settimana fa tornavo da Parigi.
Il mio istinto e la mia ispirazione tenderebbero a farmi continuare con post poetici composti da una foto e un pensiero, ma credo che sia anche interessante per i lettori sapere perché ci sono andata e cosa ci ho fatto. Quindi faccio uno sforzo redazionale, nonostante sia di indole decisamente meno pragmatica, al momento.

A Parigi c'era l'open day della scuola interpreti (d'ora in poi ESIT) a cui ambisco accedere.
Sono soddisfatta di esserci andata, perché ho avuto modo di vedere il posto e la gente, e di capire vagamente meglio alcuni dettagli concreti sulle combinazioni linguistiche e sul livello di giapponese.
Innanzitutto l'ambiente: per nulla da fighetti contrariamente a quel che mi aveva detto un amico.O meglio: l'edificio dell'università in quanto tale non ha nulla di particolare ed è anche abbastanza grigio e nemmeno particolarmente nuovo. (Sorry non dispongo di foto). Insomma non siamo ai livelli di Genève, ma neanche della nuova sede della Presidenza della mia stessa facoltà di lingue se è per quello. La gente che ci gira, per essere gente che studia economia in una delle facoltà considerate più care delle statali di Parigi, è relativamente tranquilla. (L'edificio avrà tipo 6 piani, l'ESIT è al secondo). Paradossalmente le tipe sono molto più tranquille dei ragazzi, alcuni dei quali se la girano a gruppetti di scarpa-seria-col-tacco-pantalone-gessato-cappotto-serio-sciarpa-burberry's-capello-brushato. E sguardo da strafottente finto aristocratico arrogante (il borghese medio a Parigi insomma). Apro una parentesi: al rogo tutti gli stereotipi e i preconcetti "I parigini sono stronzi". Non è per nulla vero, con me sono sempre stati tutti gentili, e comunque non ho avuto per nulla questa impressione. Chiusa parentesi.
Ho avuto modo di parlare con 3 allievi dell'ESIT. Quel che mi ha rassicurata è che sembrano essere flessibili, oltre che attenti alle richieste del mercato. Insomma se hai una combinazione linguistica troppo frequente, ti fanno sapere che non ti conviene neanche iniziare perchè non troverai lavoro se non tra anni. Se invece hai una combinazione originale, richiesta, possono chiudere un occhio su alcuni dettagli. Tipo alcuni aspetti della preparazione al momento dell'esame di ammissione e, eventualmente, il fatto che uno non sappia qual è la sua lingua A e la sua lingua B. Siccome io avrei bisogno della loro indulgenza per entrambe queste cose potete immaginare il mio sollievo. Ho spiegato la mia situazione: francese madrelingua, ma italiano parlato quasi meglio del francese, giapponese in lingua passiva, oltre all'inglese. Molto interessante, hanno commentato. Nessun problema per la confusione francese-italiano, si risolverà all'esame d'ammissione. Ottimo e non scontato avere una lingua B molto forte, sicuramente. Meglio aver francese in A però.
Gli incontri con i professori hanno confermato l'importanza del francese e l'esistenza del mio problema: gente che a forza di vivere all'estero, dimentica la propria lingua madre. Ma è recuperabile, se si agisce subito, ha precisato una prof. Ed è in questo senso che vanno i miei sforzi.
L'altro grosso mio dubbio è il giapponese. Si poteva partecipare ad alcune lezioni e tra queste c'era anche il giapponese. Ovviamente sono andata. Tuttavia hanno fatto solo esercizi dal francese al giapponese, quando ho assistito io, e quindi non ho potuto capire davvero il livello a me necessario, dovendo io fare solo il contrario, cioè dal giapponese al francese (e/o all'italiano).Ho comunque capito quel che facevano a lezione, quel che si diceva...al 90% direi. Per me non basta mai. Sono comunque insoddisfatta, molto, per quel 10%. Ma forse farei meglio a concentrarmi su quel novanta anzichè perdere la calma per il dieci.
Le altre lezioni seguite - Interprétation Simultanée e Simulation de Conférence- mi hanno colpita per l'assenza più totale di teoria. Subito, tutto, pratica. Mi ha colpita anche un professore in particolare, molto carismatico e simpatico. Uno di quei professori che tutti adorano perchè da' voglia di fare.

La scena più buffa - a guardarla da fuori- è stato quando sono andata in bagno prima della lezione di giapponese.
Il bagno si trovava esattamente di fronte all'aula in questione. Perciò, quando mi stavo lavando le mani, è successo che sono entrate due ragazze parlando giapponese, due studentesse dell'ESIT. Urlando "kusai! sugoi kusai!" (Che puzza!). Una di queste si è rivelata essere la ragazza con cui ero entrata in contatto grazie ad un amico. Lei non sa che io sapevo che lei era lei, perché non le avevo più detto nulla.
Per la cronaca a giapponese erano in 4, primo e secondo anno insieme. 2 asiatiche e 2 occidentali, un maschio e una femmina. Ho sentito la ragazza tradurre dal francese al giapponese, ha avuto qualche difficoltà ma parlava perfettamente giapponese, tranne per un accento francese che, personalmente, ho trovato molto forte per essere di una che deve fare l'interprete. Ma l'accento non è una discriminante di bravura, a meno che ostacoli la comprensione.
La professoressa è una donna sulla cinquantina, magra e con grossi occhiali quadrati, con il cognome sia giappo che francese, suppongo sia quindi sposata ad un francese, e parla senza accento alcuno. Ci ha ignorati - noi visitatori- mentre i prof degli altri corsi aperti al pubblico quel giorno hanno tenuto conto di noi in tutti i sensi. E' solo uno dei tanti modi di fare, certo, anche se un po' mi è dispiaciuto. Quel vetro immaginario tra noi e loro quanto meno contribuisce a rafforzare la consapevolezza che per ora almeno siamo ancora in due mondi diversi.

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