22 juillet 2011

Why Mac users should learn Japanese

Or was it the other way round? Yes, sorry. This post is about why Japanese language lovers should (learn to) use Mac.

I got my MacBook Pro roughly one year and a half ago, when my HP laptop timely abandoned me when I was writing my BA thesis. God bless external hard disks. Anyway, it had been the third time it had completely broken down for no apparent reason, which became the excuse to get it over with Windows once and for all.

So I got this Macintosh and it was not long before I discovered there was a built-in English-to-Japanese, Japanese-to-English, Japanese synonyms and Japanese encyclopedia dictionary by Apple.
(You can see it here on one official apple website; by the way, I knew a different etymology for Macintosh)


JP synonyms


EN-JP, JP-EN
 What a delightful discovery!

What's more, those dictionaries are the good ones. I mean, the Japanese encyclopedia, for instance, is the Daijisen. It's the same I have on my portable electronic dictionary (a Casio EX-Word acquired in Japan in september 2008).
Daijisen

A japanese electronic dictionary's keyboard
It's really the same: from the following two pictures you can see the Apple Dictionary Daijisen yields the exact same results the portable Casio Daijisen does for one uncommon nominalized verb, 造り込み (tsukurikomi) I stumbled upon on the Autodesk website. By the way, I still have no clue what it means, since there is no entry in the bilingual dictionary and the monolingual encyclopedia claims it has do to with katanas. In an software/architecture context...?

Casio's Daijisen
Apple's Daijisen
Needless to say, when you study or use Japanese daily, having a state of the art electronic dictionary* is about survival: the fact that it is light, portable and allows you to draw kanji when you can't guess the reading (a feature only the latest versions have) means you are hardly ever in trouble with the language, because it has the answers – provided you can query it and read the solution. I used it every single day when in Japan, to check and learn unknown readings of ideograms on street signs, official documentation, bureaucracy, essays, newspapers and so on and so forth. It is also vital when you have to write by hand and don't remember the strokes.

But when you need to write in Japanese on your laptop, doing back and forth from your computer screen to the electronic dictionary, and having to type on two separate keyboards is annoying and time consuming.
There is a feature thanks to which you can connect your electronic dictionary to the laptop though I wouldn't really know because I didn't buy the necessary items to do that yet. (Oh, looks like an excuse to go to the other side of the world and say hi to Tokyo).

Anyway. If you have Windows, no built-in dictionaries**. Bummer. You can go on doing back and forth as described above, or use online ones. There are good tools out there. But even this complete and great online denshi jisho doesn't have all the answers, namely for tsukurikomi (I said it was uncommon!):
No entry

I still love this online tool, it has amazing features:
The online tool: specialized dictionaries

The “names and places dictionary” is just invaluable: no matter how good at japanese you are and how long you studied it, guessing people's names and place names' readings is (almost, or at least to me) impossible. Learning them all by heart, too. So when does this tool come in handy? When you have a, say, business email from someone important and don't know whether this person is a man or woman or don't know how to call them when you meet them in person. Not so small an issue in a country where calling people means saying “Hello +family name+suffix to show respect”. Resolve to adress the person with a “you” and experience at your own peril how it is unacceptable in japanese society.
It also looks wise to use this online tool before going out on a trip to unknown places: if you can recognize but not say places' names, if you get lost and want to ask for help you'll have to point to the kanji instead of just asking, which is rather inconvenient and makes you look stupid (personal experience).

But back to the main subject: if you have Macintosh, there are the built-in dictionaries!

I used to think that I had been able to activate the JP-related dictionaries only because I had added JP to my language panel, but this is not the case.













This article explains how to activate the dictionaries, and also notices that it is quite a mistery why Apple should have added only Japanese and not, say, German or Korean. You can, however, add plugins, so it is not totally impossible to have the bilingual dics you need.

The new Mac OS Lion also includes this Apple dictionary, enhanced by the newly added British Thesaurus and Dictionary. Thank you for thinking about an “European” version of English. What's next?
Mac OS Lion built-in Apple Dictionary

All three: online, Apple and electronic dictionary

*To the best of my knowledge.
**Denshi jisho in JP.

15 juillet 2011

La correzione dei post-umi dei computer. Vogliamo chiamarla post-edizione o post-revisione?

Ho sempre pensato, senza averci mai riflettuto, che quel che in inglese viene definito “MT post-editing” e in francese “post-édition de TA” si chiamasse “postedizione” in italiano. Scopro oggi che qualcuno la chiama “postrevisione”. Ecco alcune osservazioni (strettamente personali) sul perché si dovrebbe preferire il primo piuttosto che il secondo termine.

Osservazioni generali

In inglese, francese e persino giapponese, nessun dubbio: all'ETI ho seguito un corso di “post-édition”, sul mio contratto di tirocinio, redatto in inglese perché lavorerò per un'azienda americana, mi si definisce “post-editor” e i saggi sull'argomento letti finora in giapponese parlano tutti di 後編集 (gohenshuu). Tutta l'industria anglofona della traduzione e localizzazione parla di post-editing. Benché l'italiano possa permettersi di eliminare il trattino, come fa con “week end” e “cow boy”, forse deve riflettere sul da farsi con la stringa che segue “post”. Per quale motivo si dovrebbe slittare dall'“edizione” alla “revisione”?

Chi ha seguito un minimo le mie (a volte dis)avventure in traduzione sa bene che non sono a favore delle traduzioni letterali, ma visto che al Master ci hanno fatto una capa tanta sulla differenza tra la revisione e la “postedizione”, non capisco perché si sia pensato di definire quest'attività, che consiste nel correggere l'esito della traduzione automatica, una revisione. La revisione è per eccellenza umana: umano è chi la esegue (un traduttore “senior”), ma umano è anche chi ne fa l'oggetto, la traduzione (ad opera di un traduttore “junior”). Se traduzione vecchia maniera e traduzione in stile ventunesimo secolo devono continuare a far finta di essere incompatibili, tanto vale scavare il fosso delle differenze e sottolineare che da una parte vi è tutto quel è che umano, dunque traduzione e revisione, e dall'altra tutto quello che ha a che vedere con “le macchine” (o “i computer”), quindi traduzione automatica e postedizione. E anche se non devono far finta: postrevisione mi fa solo (eventualmente) pensare a quello che succede dopo la revisione (un traduttore senior che impreca contro il traduttore junior e la sua ingenuità). Che non c'entra nulla con quello che succede dopo che il computer ha tradotto automaticamente (un traduttore che impreca contro il software e la sua inadeguatezza).
Per giunta, se in francese “édition” può far pensare all'editoria, in italiano credo che il problema non sussista neanche.
Sarei quindi a favore di "postedizione", anche per semplicità.

Osservazioni "tecniche"

Vi ho detto cosa ne penso io, spazio ora a quello che ne pensano gli altri e ad alcuni risultati di ricerca sul net.

Word ne pensa che entrambi siano sbagliati, vedo delle bisce rosse.

Non ho nessun dizionario con me qui per verificare cosa ne pensano il Sabatini Coletti, De Mauro e Devoto Oli, tanto per citarne tre tra i migliori. Mea culpa. Penso che non esista nessun lemma per entrambi, ma la cosa va indagata.

Google (Search Engine google.it) ne pensa che postedizione da solo abbia 628 occorrenze, e postrevisione ben 3870, ma postedizione traduzione automatica e postrevisione traduzione automatica un centinaio scarso entrambi. Di sicuro se ne evince solamente che la terminologia nell'ambito della traduzione automatica non è ancora molto diffusa in italiano.

Le Università italiane invece, a guidicare dai piani di studio, non ne parlano (ho controllato solo Forlì e Trieste, ma visto l'esito ho lasciato perdere).

Ho letto postrevisione in un articolo divulgativo pubblicato da TAUS. Come a dire: mica l'ultimo dei cretini in fatto di tecnologie per la traduzione. Certo, però era una traduzione (offerta da Qabiria) dell'originale, che è in inglese. Sicuramente chi ha tradotto si sarà posto la domanda del come rendere questo termine, nuovo e tecnico. Non riesco però a individuare i motivi dietro questa scelta traduttiva, anche se non vorrei dare l'idea che sto affermando di avere ragione, perché non si tratta di aver ragione o torto. Simplement, la question se pose, direbbe un francese.

Pensavo d'aver trovato una fonte attendibile che portasse l'acqua al mio mulino quando sono capitata su questo http://blog.gts-translation.com/language/it/2010/10/31/amta-2010-conference-opens-with-a-bang/ risultato di ricerca, ma anche qui, si tratta di una traduzione (automatica). E così per molti altri risultati...

Spero di non avervi dato l'impressione d'aver voluto disquisire del sesso degli angeli, ma io sono in seria crisi d'identità: insomma, sono una posteditrice o un postrevisore?

Risposta: sono una gohenshuusya. In attesa di meglio.

09 juillet 2011

Google 2084

Ayons un peu le sens de l'humour...

http://laveille.blogspot.com/2008/09/acte-2-pourquoi-avoir-peur-de-google.html 

02 juillet 2011

Le domande stupide esistono eccome.

Già mi vedo come Amélie Nothomb in “Stupeur et tremblements”: ultima ruota del carro in una multinazionale, circondata dai geni, e relegata a svolgere missioni misere fino all'umiliazione, in modo del tutto inaspettato. Ecco la parabola delle persone senza talento in aziende che pullulano di gente brillante!

Venerdì scorso sono andata alla conferenza a cui mi aveva invitata il mio capo – chissà come mai tra l'altro, visto che ero l'unica studentessa. Questa conferenza presentava un formato particolare, nel senso che si trattava più che altro di discussioni in gruppi da dieci persone. In tutto eravamo un centinaio e metà dei partecipanti faceva parte dell'azienda A. dove svolgerò il mio tirocinio. Io, essendo una povera studentessa senza importanza alcuna, mi sono data al fauna-watching nella speranza di determinare il dress-code e poter prevedere cosa comprare nella prossima session di shopping selvaggio per l'abbigliamento da ufficio. Del resto cosa potevo fare d'altro? Ero nella taking-but-not-giving-side, soprattutto perché agli altri, cioé ricercatori, dottorandi, direttori d'aziende di software, direttori di agenzie di traduzione e traduttori freelance, del mio I-still-can-give-something proprio non gliene poteva fregare di meno. Ogni domanda di feedback su una determinata esperienza (di traduzione con l'uso di Google Translate, o di post-edizione) conteneva la parolina “esperienza professionale”, e si dava per scontato, più o meno giustamente, che io di esperienza in generale ne avessi poca, e di professionale nessuna. Così ho ascoltato e guardato. Con gusto.

Ed ho conosciuto il mio capo ed un paio di futuri colleghi : )

Diciamo subito le cose come stanno: il mio capo, M., è il classico genio che splende di luce propria per intelligenza e carisma, ma ha una soglia di tolleranza verso l'idiozia e i tardoni bassissima. E' secoli avanti e pretende che chi non può seguirlo non lo rallenti. In altre parole, è di quelli che ti fanno scompisciare dal ridere, rimanere a bocca aperta per le idee, ma zittire in un attimo se ti azzardi a fare un intervento che non è al 100% geniale, interessante, utile e pertinente. Del resto anche io la penso come la pensa lui probabilmente: le “domande stupide” esistono eccome, e sono gli idioti a farle.
Quindi, parola d'ordine durante il tirocinio? Prudenza e silenzio. E godersi lo spettacolo, perché sembrava veramente di stare a Zelig, quando apriva bocca lui la platea piangeva dal ridere.

Se ora volessi essere onesta vi racconterei anche la figura di merda che sono riuscita a fare.
Massì, ve la racconto: avrete capito che con M. è facile non essere all'altezza. Molto banalmente alla fine della conferenza sono andata a presentarmi, come era giusto che facessi. Siccome però sono socialmente limitata, anziché rispondere al suo “Grazie per essere venuta” con un “Grazie a Lei di avermi invitata”, come avrebbe fatto qualunque persona normale dotata di parola e neuroni, ho sbiascicato qualcosa come “Grazie, bella conferenza”. La conferma del fatto che non era una genialata? La sua reazione: “Beh, certo non poteva dirmi che è stata brutta” (rido ancora...volevo sotterrarmi). Ho tentato di riprendermi con un “Ora no, ma se vuole tra una settimana le mando una mail con quello che penso davvero....” rischiando grosso, ma per fortuna ha riso.
Bello il pirmo incontro, vero? Avrò sicuramente dato un'ottima impressione di me, e per fortuna che è la prima che conta... :S
Già mi vedo con una grossa scritta, “BEWARE! IDIOT”, stampata in fronte...

Insomma, è soprattutto per questo episodio che mi sono resa conto di essere un bersaglio particolarmente facile da colpire a suon di “Alors écoute Stéphanie....prochain week-end, plus de culture et moins de manucure, ok?”. E questa battuta mi piace, non rubatemela :P

Quindi ho deciso di prenderla con molta autoironia. Là dentro sono tutti ingegneri informatici o linguisti computazionali con curriculum spaventosi. E' chiaro che non si aspettano da me di essere brava come loro in quell'ambito. Però potrei anche giocare sul fatto che io non c'entro niente e sono un pesce fuor d'acqua. Ho già in mente di rispondere a chi mi chiede “What is your background ?” con un grande sorriso e “Literature”. In fondo, è vero!

Poi mi sono autoinvestita di una missione segreta: la costante, nell'azienda A., sembra essere che gli uomini si vestono piuttosto male e soprattuto con camicie improbabili. Non dico che sia colpa loro: magari è colpa della moglie, o magari sono talmente presi dalle loro elucubrazioni da geni che non pensano minimamente a come vanno in giro. Però ciò non vuol dire che uno si debba rassegnare a vivere in mezzo agli ingegneri, per giunta mal vestiti. Si può provare a renderli coscienti dei loro limiti in fatto di moda, arrivando vestiti sempre impeccabilmente ad esempio...

Scherzi a parte ora vado a ripassare giapponese perché voglio serivre a qualcosa, non servire il caffè...